Nel mio lavoro, oramai sempre più frequente è l’incontro con donne che, giovani o mature, indipendenti o dipendenti, sposate o nubili, arrivano da me insoddisfatte, inappagate della loro vita, in preda più che ad una vera e propria patologia ad una piena crisi esistenziale.
In particolare, sempre di più sono oggi quelle donne belle, giovani, affermate, indipendenti, con un buon lavoro ed una buona testa, che si siedono di fronte a me in preda ad un dolore indicibile, ad un impoverimento della propria vita emotiva, all’incapacità di avere una vita affettiva appagante. Io ho vissuto gli anni post sessantottini, quanto c’era una certa aria di libertà sessuale, i tempi in cui si cominciava a parlare di pillola anticoncezionale, gli anni della rivoluzione femminista, in cui una certa apertura del corpo rappresentava, per le donne, anche una certa apertura della mente, donne capaci di amare, di godere, di pensare, di agire, di essere. Mi rendo conto, però, che sebbene i tempi siano cambiati e sebbene la forma delle cose e delle situazioni sia molto diversa, molto nella sostanza è rimasto uguale. E’ trascorso qualche decennio e certi diritti e certe libertà, oggi, giustamente, sono dati per acquisiti. Trovo, però, nelle donne di oggi la stessa poca libertà delle madri alle quali quelle femministe di sono ribellate. Forse molte nostre nonne non si sono sposate e date per amore, e non hanno vissuto il proprio corpo e la propria sessualità, in modo pieno e consapevole, come frutto di un desiderio anziché di un obbligo, ma oggi le donne che arrivano nel mio studio non sono più libere di chi le ha precedute.
La peste emozionale di cui parlava Reich, riferendosi allo zoppicare degli uomini incapaci di vivere le proprie naturali manifestazioni vitali insieme a quelle di autoregolazione, oggi sembra essere più che mai attuale. In particolare, nelle donne trovo che ci sia un ritorno ad una situazione ante rivoluzione femminista o forse, in realtà, questa non ha mai avuto, in un certo senso, un seguito reale. Trovo che oggi tutta questa presunta libertà in realtà sia solo di facciata e solo usata per alcuni ambiti della vita, libertà di affermarsi professionalmente, di essere autonome ed indipendenti, di avere delle proprie idee e di farle valere non meno di un uomo, libertà di avere rapporti sessuali liberi senza la necessità di un rapporto di coppia stabile, libertà di scegliere se essere madri o meno, libertà di sposarsi o meno. Tutte cose sacrosante che però, sempre più spesso, non sembrano coincidere con il benessere della persona. Una gabbia dorata insomma, un finto Eldorado, una menzogna con un bel vestito. Dietro queste gabbie, spesso ci sono donne sole, affamate di amore, spesso libere di avere tanti uomini ma incapaci di darsi profondamente ad uno soltanto, donne che si proteggono, che si difendono, o che patologicamente dipendono dall’uomo che amano, donne chiuse in armature caratteriali, donne alle quali viene ancora tramandato vivo il senso della vergogna e della colpa. Le stesse donne che dopo una buona terapia carattero-analitica ricominciano a respirare non solo con il diaframma, ma con tutte le fibre del loro essere, con il cuore aperto e la mente silenziosa.
Qualunque sia la ragione delle loro difficoltà, che sia l’angoscia di dissolvimento della masochista, o la difesa da una sessualità dirompente dell’isterica, o il blocco affettivo e sessuale della donna coatta, o semplicemente l’ansia di smarrirsi nell’unione con un altro essere umano, quello a cui spesso le donne desiderano tornare, non diversamente dagli uomini, è l’abbraccio genitale di cui parlava Reich, un abbraccio amoroso, molto lontano sia dal sesso selvaggio sia dall’incontro romanzato, una profonda comunione in cui energia femminile e maschile si uniscono in una danza, insomma niente altro che l’abbraccio che ci fa tornare a casa. Per quello che ho potuto vedere, nella mia esperienza, prima o poi, le donne tornano sempre a fare i conti con loro stesse, vuoi per le loro cantine affollate, per dirla alla Jung, vuoi perché la loro natura le chiama ad assolvere il loro ruolo. Madri o meno, in un dato momento della propria vita, arrivano a confrontarsi con la loro capacità di amore, con la loro forza generativa e creatrice, perché in fondo anche l’atto di amore è un atto di creazione, di fusione, di unione in un’unità che prima non c’era. A queste donne dico che è possibile, che lontano dai ruoli precostituiti nei quali esse stesse si rilegano, possono ritrovare la propria identità più autentica e con essa la femminilità e la generosità che in essa alberga. In fondo, nasciamo tutti come degli dei, uomini o donne, solo dopo con la crescita, l’educazione, l’acculturamento perdiamo quest’armonia, o meglio ce ne dimentichiamo perché nessuno ci insegna ad averne cura, come ci viene invece insegnato a mangiare, a bere, a lavarci, a leggere, a scrivere. Anche oggi come ieri, liberarsi da vincoli morali, pregiudizi, irrigidimenti nevrotici e caratteriali e dagli schemi di comportamento che erroneamente pensiamo coincidano con la vostra identità, attraverso la resa della “mente” che in realtà mente più di quando crediamo, può essere un primo passo per risvegliare la dea che è dentro di voi. Vivere nell’abbondanza e nella totalità è un dono che non farete agli uomini che incontrerete ma a voi stesse, care Afroditi mancate.
Gianfranco Inserra
One comment
Marzia Battel
24/03/2020 at 8:16
Trovo molto argue e interessanti le riflessioni di questo psicoterapeuta eppure non assolute, tutt’altro.. Aprono scenari immensi che ad analizzarli è volerli percorrere tutti non basta una vita… E, forse ci verranno rivelati tutti dopo questa vita