Per un recupero del contatto corporeo e dell’abbraccio
Come altri animali sociali, l’essere umano ha bisogno di stare in compagnia e di entrare in contatto verbale, corporeo ed affettivo con altri esseri della sua specie anche al di fuori dei momenti dedicati all’accoppiamento, pertanto, ognuno di noi, in modi e quantità diverse, cerca di instaurare relazioni che consentano di soddisfare in qualche modo questi bisogni. Il piacere di giocare, la ricerca di contatto corporeo o semplicemente il sentirsi rassicurati dalla presenza degli altri sono riscontrabili tanto nell’uomo quanto nei leoni, nelle scimmie e in varie altre specie di mammiferi, ma nella specie umana questi comportamenti assumono forme più elaborate e, talora, indirette, simboliche, ritualizzate.
Come ha ben mostrato E. Goffman, per un verso, e E. Berne, per l’altro, il contatto corporeo è spesso sostituito dal contatto verbale, specie in certe culture, tant’è che Berne ha chiamato “carezze” certe forme espressive verbali che le persone rivolgono ad altri durante una interazione (E. Berne, A che gioco giochiamo, 1967). Questo passaggio dalla espressione diretta a quella simbolica non è sempre indice della superiorità dell’uomo ed anzi è in molti casi una conseguenza di determinate patologie socioculturali, come nel caso dello scarso contatto fisico che si riscontra in certe culture, specie occidentali, derivante da tabù sulla sessualità.
Il prototipo delle relazioni basate sul contatto corporeo, contrariamente a quanto molti credono, non è l’atto sessuale ma il rapporto madre-bambino: attraverso il contatto col corpo materno il bambino ritrova l’armonia e il benessere della vita intrauterina e il senso di fusione con la madre che è stato perso con la nascita e soprattutto a seguito della progressiva acquisizione del senso di individualità. Per vari autori di impostazione psicoanalitica, la nascita rappresenta il trauma primario di separazione, che può essere risanato attraverso l’instaurarsi di nuovi rapporti positivi di unione, prima con la madre stessa e poi via via, con altre persone. Dato che il percorso evolutivo procede in avanti e non indietro, l’individuo dovrà risanare il senso di separazione non ricreando una parvenza di unione simbiotica con la madre (o con un suo sostituto simbolico – il partner) ma instaurando rapporti positivi e profondi con molti altri individui, fino a
percepirsi parte integrante di una unità più vasta. Il contatto corporeo è parte essenziale di questo processo e l’abbraccio ne è l’emblema più completo e significativo.
L’abbraccio come forma di conoscenza e contatto
In alcuni popoli e culture l’abbraccio non è solo un modo di comunicare tra amanti o tra genitori e figli ma è anche una forma di saluto e di incontro per conoscere meglio l’altro e creare un clima di sintonia e fratellanza tra le persone. Ci si abbraccia anche tra sconosciuti, che anzi, dopo l’abbraccio non sono più tali. Nel mondo occidentale attuale l’abbraccio è assai poco frequente, perfino tra amici e parenti, e anche quando ci si abbraccia lo si fa in modo frettoloso, sfuggente, con il minimo di contatto fisico e di durata, quasi a manifestare una paura della dimensione corporea. Si preferisce comunicare attraverso le parole più che con il linguaggio del corpo. Eppure attraverso un abbraccio ben fatto si può entrare in sintonia con l’altro più che con centomila parole. Recenti studi scientifici compiuti mediante elettroencefalogramma hanno evidenziato che in due persone che si abbracciano e respirano assieme – anche se estranei tra loro – avviene una sorta di sincronizzazione cerebrale, nel senso che i tracciati elettroencefalografici – inizialmente diversi – divengono simili fino spesso a sovrapporsi (cfr. N. Montecucco, Cyber: la visione olistica, ed. Mediterranee, 2000). Non solo, ma oltre a divenire simili divengono anche più armonici, con indubbi effetti positivi sul benessere psicofisico di entrambi.
L’abbraccio, secondo alcune scuole di psicoterapia ad orientamento corporeo, ha un grande potere di guarigione sul corpo e sulla psiche, ed è fondamentale riappropriarsene. Anche il massaggio e il toccarsi in genere sono profondamente benefici, non solo sul corpo ma anche per problemi di ordine psicologico. Grazie al geniale e coraggioso lavoro iniziato da Wilhelm Reich (uno degli allievi diretti di Freud) è ormai chiaro che corpo e psiche sono strettamente interconnessi e che una disfunzione o una carenza dell’uno si riflette inevitabilmente sull’altro. E’ però anche vero che si può curare l’una attraverso l’altro, ed è questo appunto che rende il contatto corporeo uno strumento di guarigione talvolta miracoloso. A proposito di miracoli, c’è una mistica indiana che gira il mondo comunicando il suo messaggio senza parole, semplicemente abbracciando centinaia se non migliaia di persone ogni giorno, e molti riferiscono di averne ricevuto un senso di profondo benessere e guarigione.
Evidentemente ha capito che di parole ce ne sono state dette fin troppe e ciò che ci manca davvero è piuttosto il contatto umano, l’amore compassionevole di un caloroso abbraccio.
I tabù del contatto
Ma allora, se fa così bene abbracciarsi, perché lo facciamo così poco? Tutta colpa di alcuni tabù sociali, che limitano il contatto corporeo a poche intime, situazioni, riservando l’abbraccio al partner, a figli e genitori e a
pochi altri soggetti. E’ improbabile nella nostra società abbracciare una persona che incontriamo per la prima volta e se lo facessimo potremmo imbarazzare non poco l’altro e incuriosire gli eventuali osservatori; eppure, presso alcuni popoli è proprio l’abbraccio la forma appropriata di saluto, quando non il bacio sulle labbra. E non solo non si “devono” abbracciare gli estranei, ma spesso neppure i conoscenti, se non in particolari situazioni altamente emotive e ritualizzate quali ad esempio matrimoni, funerali, vittorie sportive. Ed anche laddove è consentito o tollerato, raramente ci si abbraccia con pienezza e spontaneità: l’abbraccio è il più delle volte frettoloso e con un contatto fisico limitato alla parte superiore del corpo, col bacino inarcato all’indietro, badando bene a non far toccare la pancia e tanto meno i genitali. Se poi coloro che si abbracciano sono due individui di sesso maschile, sia pure padre e figlio o fratelli, si nota che l’abbraccio – peraltro raro – è spesso appena accennato, energico piuttosto che affettuoso, e non privo di imbarazzo. Già da questi pochi cenni si può capire il grande potere dei tabù che circondano questo gesto.
Vediamone dunque i principali: alla base di tutto il tabù della sessualità, che tende a limitare a priori ogni forma di contatto corporeo, e che esamineremo meglio più oltre, essendo per molti versi il nodo da cui si originano anche gli altri tabù. Poi abbiamo il tabù dell’omosessualità, che tende a limitare specificamente il contatto fisico e l’abbraccio tra persone dello stesso sesso, un tabù molto forte soprattutto per i maschi, che vedono l’abbraccio come qualcosa di effeminato, che non si confà al ruolo di soggetto forte e sicuro di sé che viene loro prescritto nelle nostre società (ci si abbraccia però anche tra maschi in casi particolari come ad esempio la vittoria della propria squadra). Infine il tabù dell’incesto, che induce molti genitori a tenere a distanza i loro figli e a limitare le occasioni e l’intensità dei contatti corporei con essi; nei migliori dei casi, vi è una certa vicinanza corporea durante la prima infanzia, che poi però si riduce di molto man mano che i figli crescono.
Secoli e secoli di culture e religioni repressive nei confronti del corpo e della sessualità hanno portato la maggior parte delle persone a credere che tutto ciò che è contatto corporeo – abbraccio compreso – sia automaticamente sessuale. A partire dagli anni ’60 vi è stata, come sappiamo, una profonda rivoluzione nei costumi, che ha in parte riabilitato e liberato la sfera sessuale; tuttavia è rimasta quasi intatta l’idea che l’abbraccio sia sempre associato in qualche misura al sesso. Ciò però non è affatto vero: tutto dipende dall’atteggiamento interiore di coloro che si abbracciano; certo, in passato la sessualità era talmente repressa che un qualsiasi contatto corporeo poteva suscitare eccitazione, ma ciò era una conseguenza appunto del clima repressivo, non certo una valenza intrinseca dell’abbraccio. Il corpo non esprime solo sesso, ma molto, molto di più, e con un abbraccio si possono comunicare e condividere emozioni, sentimenti, gioia di vivere, compassione, calore umano, amore filiale, amicizia, senso di fratellanza e tante altre cose che non hanno niente a che vedere col sesso e che rappresentano aspetti tra i più belli e nobili della natura umana.
Quanti figli e genitori sono stati privati e continuano a privarsi della bellezza e del potere benefico del contatto corporeo e dell’abbraccio in nome di questi tabù. Quante persone evitano per analoghi motivi il contatto umano coi loro simili, contatto che pure è riconosciuto dagli studiosi come uno dei bisogni fondamentali dell’uomo.
La paura dello sconosciuto
Ad ogni modo non sono solo i tabù sessuali che ci precludono l’abbraccio: vi sono anche le nostre paure e diffidenze verso gli altri, che spesso immaginiamo potenzialmente ostili o comunque maldisposti nei nostri confronti. Molte persone hanno una idea del mondo come di un luogo ostile, pericoloso, dove è bene fidarsi di pochissime persone, tenendo le distanze da tutti gli altri; eppure, avvicinarsi con un abbraccio potrebbe far capire, meglio di qualunque discorso, quanto in realtà i tanto temuti “altri” sono esseri umani come noi, che magari hanno a loro volta gli stessi nostri timori. La paura dello sconosciuto, dell’ignoto è sempre stata la paura numero uno, la madre di tutte le paure e c’è un solo modo per vincerla: avventurarsi nell’ignoto e conoscerlo, così che esso diventa “noto” e quindi non più temibile. Fino a pochi secoli fa vi era un vero e proprio terrore nei riguardi di ciò che poteva trovarsi oltre lo stretto di Gibilterra (le fatidiche “colonne d’Ercole”). Poi, grazie al coraggio di alcuni navigatori, l’ignoto è divenuto noto e la paura è cessata. Lo stesso accade con le persone: finché ci teniamo a distanza possiamo proiettare su di loro le nostre peggiori paure, ma se abbiamo il coraggio di avvicinarci e conoscerle, ci rendiamo conto che sono esseri umani come noi e allora le paure svaniscono e subentra anzi un senso di familiarità e magari anche di amicizia.
Reimparare l’arte del contatto umano e dell’abbraccio
Oggi finalmente i tempi sono maturi per superare vecchi tabù e ataviche paure e riappropriarsi di una modalità di comunicazione tra le più belle, naturali e complete: attraverso le parole, coinvolgiamo soltanto la sfera dell’intelletto; abbracciandoci entriamo in contatto col corpo, i sentimenti e le emozioni: i cuori si toccano, il respiro si sincronizza, il “calore umano” diviene tangibile e un senso di fratellanza ci avvolge piacevolmente.
Poiché per secoli ci siamo abbracciati poco, e quel poco spesso frettolosamente oppure solo in modo sessuale, è necessario per l’uomo e la donna occidentali reimparare l’arte del contatto umano e dell’abbraccio. La maggior parte delle persone non sa come iniziare e portare avanti un contatto corporeo non sessuale, non sa come usare il proprio corpo quale strumento per comunicare e scambiare calore umano, compassione, accettazione dell’altro, fratellanza, amicizia etc. Per accrescere la propria capacità di comunicazione corporea e affettiva è quindi necessario “tornare a scuola”, ad esempio frequentando un apposito seminario esperienziale sull’argomento, che ci permetta di arricchire la qualità dei nostri rapporti con gli altri e scoprire in essi dimensioni finora insospettate.
Un seminario è una sorta di “palestra esistenziale”, un luogo protetto in cui lavorare su di sé sotto la guida di qualcuno che non solo ha le conoscenze tecniche, ma soprattutto ha già fatto personalmente quel tratto di strada, quel certo tipo di esperienza ed esplorazione interiore. Palestra perché non si tratta di assistere a lezioni teoriche ma di fare meditazioni ed esercizi pratici – individuali, di coppia o di gruppo. Un altro basilare ingrediente dei seminari è la presenza di persone “giuste”, che hanno cioè lo stesso nostro obiettivo, disponibili a mettersi a nudo e a sperimentarsi e che perciò non ci giudicheranno in alcun modo ma saranno anzi solidali e caldamente collaborative.
Sarebbe molto più difficile, talvolta impossibile, fare certe esperienze e certi cambiamenti direttamente nella nostra vita di tutti i giorni, con le persone che solitamente frequentiamo, mentre è più agevole con persone con cui non vi sono precedenti legami e che condividono i nostri stessi obbiettivi. Insomma, così come, per affrontare una gara sportiva, ci si prepara in palestra prima di scendere nell’arena di fronte al pubblico e agli “avversari”, così nella crescita personale si impara piano piano a liberarsi dalle paure e a esprimere con spontaneità il proprio vero sé nello spazio “protetto” dei seminari prima di farlo nel turbinoso scorrere della vita.