“Eros ha nella sua faretra una unica freccia per ogni cuore umano e un destino comune non diventa eccezionale per il fatto di esserne colpiti personalmente.”
Il desiderio di parlare attorno ad eros nasce da riflessioni sviluppate all’interno del forum da alcuni di voi.
Nel Convito di Platone, Socrate narra la nascita di Eros: “In occasione della nascita di Afrodite gli dei fecero un banchetto e, come costume nelle feste venne a mendicare Penia. Quando Poros ebbro di nettare, entrò nel giardino di Zeus e, appesantito, si pose a dormire, Penia si stese al suo fianco e divenne gravida di Eros.”
Eros dunque nasce dalla madre Penia, il cui significato è mancanza, povertà e questo ci rende edotti sul fatto che il fondamento di ogni esperienza amorosa è la mancanza e l’assenza dell’altro.
E’ interessante osservare che sia dal punto di vista del mito greco, che vuole che Zeus tagliò in due l’androgino che nella sua forma originaria aveva due teste, quattro braccia, quattro mani e quattro gambe, separando così l’uomo dalla donna, sia dal punto di vista della psicologia del profondo che vede nella separazione del bambino dalla madre la ferita primaria mai ricucita, l’elemento comune ci rimanda inevitabilmente ad associare le pene d’amore ad una nostalgia profonda, ad un rincorrere senza tregua la riconquista di un oggetto d’amore senza il quale non ci sentiamo completati.
In questo senso il mito greco narra che Zeus, impietosito, manda Eros tra gli uomini per ricondurre attraverso l’amore carnale quell’unità originaria. Il corpo dell’altro diventa se-duzione, turbamento, in quanto capace di produrre sollecitazioni fisiologiche che alimentano il desiderio e la passione; ma passione vuol dire anche patire l’altro ed è in questo senso che l’eros e il pathos sono sempre compagni nelle vicende d’amore.
Ma Eros ci ricorda anche Ermes (Ermete), il messaggero degli dei e quindi nella sua espressione più intensa svolge una funzione analoga, avvicinando l’uomo agli dei per riconquistare quel mondo perduto, ed è per questo che appare come un’esperienza inattesa e temibile, ponendoci d’improvviso di fronte ad uno sconvolgimento dell’io razionale che avendo rimosso la sua parte istintuale ci mette fuori da un ordine prestabilito.
Per questo ogni esperienza erotica si accompagna all’angoscia, alla paura della perdita dei confini del proprio ego; il corpo dell’altro, la sua anima, ci appaiono temibili e desiderabili allo stesso tempo.
“La sessualità appartiene all’enigma e l’enigma alla follia” (Galimberti).
Gli insegnamenti di Platone avvicinano la follia all’esperienza dell’anima, non nel significato di un crollo dell’anima stessa, ma nel senso che essa sente che la consapevolezza totale consiste nella comprensione che emerge dall’abisso e dal caos, verso un’apertura al mondo e una disponibilità di tutti i sensi alle esperienze che sfuggono ad ogni ordine razionale.
Nel racconto di Socrate, Eros non è descritto affatto bello, ma, magro e nudo e attaccato costantemente alla madre Penia. Sono inevitabili a questo punto le analogie col percorso interiore proposto dalle psicoterapie odierne; le pulsioni libidiche che legano il bambino alla madre lo lasciano eternamente dipendente e insoddisfatto, costringendolo da adulto a perpetuare il suo stato di inquietudine nella ricerca costante di un oggetto d’amore sostitutivo.
Ma Eros è anche figlio del padre Poros il cui significato ci rimanda alla strada da percorrere, al mezzo, al guado; Eros rappresenta allo stesso tempo la mancanza e la possibilità di soddisfare la stessa.
Nella famiglia nucleare moderna, qualora funzionale dal punto di vista sessuoeconomico, la funzione paterna attivata coscientemente dovrebbe e potrebbe aiutare il bambino a separarsi dalla madre, spostando l’energia libidica verso oggetti d’amore posti fuori dal nucleo familiare.
Così come nel significato originario della parola Pòros, l’attivazione della funzione paterna si pone come mezzo di attraversamento dalla dipendenza materna, fonte primaria di ogni sentimento di solitudine e di mancanza. Rimarginare la lacerazione primaria indotta da ogni esperienza amorosa significa innanzitutto ricondurre a sé l’antica ferita; significa riappropriarsi coscientemente delle proiezioni di cui abbiamo investito l’altro dopo averlo usato come prestanome della nostra condizione emozionale.
Significa accettare l’alternarsi ambivalente di unione e separazione che ci impone la presenza del corpo dell’altro; significa accogliere l’unità con l’altro attraverso l’abolizione di ogni distanza reale.
Eros ci viene in aiuto tutte le volte che il senso di nostalgia diventa incolmabile, e ogni amplesso amoroso rivive il tentativo di recuperare attraverso l’altro le nostre parti mancanti; al vertice si pone l’esperienza dell’orgasmo, sublime atto di unione, illusorio episodio dopo il quale, ogni volta, ci ritroviamo costretti a ricondurci alla nostra individualità perduta.
Gianfranco Inserra
Bibliografia
Gli equivoci dell’anima (U. Galimberti)
Analisi del carattere (W. Reich)
Eros e pathos (A.Carotenuto)