Culturalmente siamo abituati a dare alla nostra testa, al “mentale”, una grande importanza, attribuendovi ogni sorta di significato. Anche parlando di ansia, siamo generalmente convinti che quest’ultima sia una condizione che esiste nella nostra testa, ma decenni di ricerche hanno dimostrato che, più precisamente, l’ansia è nel nostro corpo – e ancora più precisamente, possiamo dire che è nel nostro sistema nervoso.
Come altri animali, noi umani abbiamo un sistema nervoso unificato, il corpo e il cervello parlano tra loro, si regolano a vicenda. Il nostro stato fisiologico influenza il modo in cui reagiamo al mondo e come viviamo in esso. Sfortunatamente, questo aspetto a volte non è preso in considerazione da alcuni modelli di salute mentale, poiché il modello che ha prevalso per molto tempo in psicologia e psichiatria, vede l’ansia come una reazione del cervello, non come un fenomeno di tutto il corpo. La psicologia sostiene che attraverso tecnologie cognitive e comportamentali, l’ansia possa essere tenuta sotto controllo esclusivamente con il linguaggio, ma questo non è esatto. L’evidenza scientifica dimostra che l’ansia, come altre emozioni, nasce da diversi stati corporei. I segnali neurali si fanno strada attraverso il tronco cerebrale, le informazioni vengono poi trasmesse anche a livelli superiori nel cervello, dove diamo loro un significato, ovvero ciò che chiamiamo emozioni.
Tutti gli organismi per sopravvivere mantengono attivi dei mezzi di difesa, e l’ansia è la risposta del corpo quando ci sentiamo in qualche modo minacciati. Ognuno di noi è alle prese con stati di minaccia, esterni o interni, che spesso altro non sono che le nostre risposte all’incertezza del vivere. La capacità di rilevare il pericolo è fondamentale per reagire prontamente e difendersi da minacce immediate, tuttavia le minacce croniche impongono costi elevati alla nostra fisiologia, interrompendo il meccanismo omeostatico che ci consente di crescere ed espanderci. Questo non solo mette in pericolo la nostra salute, ma restringe anche la nostra gamma di esperienze e blocca la nostra capacità di relazionarci con altri esseri umani.
Un potente alleato che ha il potenziale per ridurre il senso di minaccia, è il nostro nervo vago, il protagonista del sistema nervoso autonomo. Il nervo vago parte dalla base del cervello, si dirama fino al cuore, ai polmoni e al tubo digerente, con fermate lungo il percorso alla laringe, alla faringe e al diaframma, prima di scendere nell’addome.
Uno dei compiti del nervo vago è quello di consentire agli organi di adattarsi istantaneamente alle esigenze dell’ambiente circostante, poiché orchestra le risposte corporee necessarie per tenerci al sicuro o per preparare il corpo al pericolo prima ancora che possiamo esserne consapevoli o che abbiamo la possibilità di pensarci. La maggior parte del nervo vago è composta da fibre sensoriali che funzionano come nostro sistema di sorveglianza, informando il cervello dello stato dei nostri organi viscerali.
Nel nostro viaggio evolutivo per diventare mammiferi sociali, le strutture rettiliane di base hanno subito delle modifiche. Affinché gli animali diventassero socievoli, doveva esserci un modo per disattivare le reazioni massive alle minacce: gli animali dovevano essere in grado di indicarsi l’un l’altro che erano abbastanza al sicuro da potersi avvicinare. A differenza dei rettili, infatti, i mammiferi sono neurologicamente ricettivi non solo alla minaccia, ma anche alla sicurezza.
Le informazioni fluiscono bilateralmente dal nervo vago, quindi sia da che verso di esso, e attraverso il nervo vago, reagiamo ai segnali provenienti dall’ambiente in modi che calmano, allarmano o che deregolano il corpo, e questi stati a loro volta creano un’esperienza emotiva e si manifestano nel comportamento.
Man mano che gli stati di calma viscerale vengono trasmessi al tronco cerebrale, le informazioni vengono inviate anche a strutture cerebrali più evolute, consentendoci il pieno accesso ai mezzi di espressione del cervello e consentendoci anche l’interazione sociale. Infatti, in potenziali stati di pericolo i sistemi superiori vanno in stand-by, diventiamo vigili e difensivi e non abbiamo accesso alle capacità di problem-solving, alla creatività, alla nostra piena intelligenza. Il circuito vagale restringe la nostra attenzione, mobilita le nostre risorse e ci prepara a combattere o fuggire, facendo scattare la cosiddetta risposta allo stress.
Se il pericolo è così schiacciante che non c’è via di fuga o c’è la sensazione di essere intrappolati, non c’è altra via che il blocco completo, l’arrestarsi. In questo stato di torpore, il contatto sociale diventa un’intrusione ed è avvertito come avversivo. Le risposte corporee sono involontarie e spesso le persone non sono consapevoli di ciò che le ha innescate, anche se probabilmente sono consapevoli che il loro cuore batte forte o il loro corpo trema.
Ognuno di noi cerca di dare un significato mentale allo stato fisiologico agitato che chiamiamo ansia. Usando strutture cerebrali superiori – memoria, associazioni, apprendimento – creiamo in genere una narrazioni di preoccupazione che attribuisce la causa e la forza della nostro stato ansioso a qualcosa di specifico e di solito esterno. Raccontare a noi stessi questa narrazione preoccupata, darci motivazioni premature e forzare i collegamenti tra le cose per giustificare il nostro stato fisiologico, letteralmente ci lascia in questo stesso stato e anzi lo perpetua e lo allunga. La maggior parte delle persone trova difficile separare la preoccupazione dal disturbo fisico, ma è possibile: la preoccupazione è una narrativa personale che creiamo in uno stato di minaccia per giustificare il motivo per cui ci sentiamo male.
Indipendentemente dalla soglia di reattività che mette in allarme una persona, è possibile rieducare il sistema nervoso attraverso specifiche manovre e tecniche sul corpo. Il modo più diretto per accedere al percorso neurale che disattiva la minaccia è attraverso la respirazione. L’estensione dell’espirazione – espirare lentamente, più a lungo – è un atto neurofisiologico potente, che agisce sulle fibre del nervo vago.
Il lavoro del terapeuta è quello di co-regolare un paziente. Un individuo in stato di minaccia cronica non è capace di dialogo, non risponde a nessuna forma di coregolamentazione. La persona esprime negatività, un indicatore affidabile del suo stato fisiologico, e non solo. La respirazione pone le basi per il lavoro cognitivo. Se lo stato di una persona si trasforma in calma, il lavoro cognitivo e comportamentale può essere efficace. Ma se la fisiologia non supporta la calma, queste non possono funzionare, poiché la persona è troppo avvolta in uno stato di difesa.