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Ascoltare le nostre emozioni “negative”

01/09/20200

Potrebbe sembrare un paradosso dire che le cose “cattive” o “oscureche ci appartengono, sono in realtà delle qualità. Tuttavia, le parti di noi, le emozioni e i sentimenti contro cui lottiamo più strenuamente, sono spesso le nostre maggiori fonti di emancipazione e di forza.

Lungi dal voler promuovere un tipo di visione simile al cosiddetto “Pensiero Positivo” all’americana, basta prendere atto che oggi risulta sempre più difficile costringerci a falsi stati di positività. In un momento storico e sociale come quello che stiamo vivendo, le nostre emozioni “negative” stanno venendo più facilmente in superficie, e non possono più essere ignorate. Vediamo rabbia e dolore traboccare nella sfera sociale e politica, e non c’è da meravigliarsi se molti di noi restano bloccati nell’apatia, nel pessimismo e in ogni tipo di distrazione. La vita ci sta sfidando in questo momento e il primo passo necessario è riconoscere effettivamente che stiamo soffrendo. Sembra una cosa piuttosto semplice da fare, eppure tante persone scelgono di combattere i propri sintomi e le proprie emozioni piuttosto che provare ad averne una maggiore consapevolezza.

In realtà, molti sfuggono alle emozioni e ai sentimenti scomodi, e così facendo perdono l’occasione di accogliere le emozioni dolorose e represse, ascoltare ciò che hanno da dire, e attraversarle per diventare più forti e più “umani”. È comprensibile voler vincere il dolore ma la sofferenza mentale ed emotiva non è qualcosa da combattere e sconfiggere semplicemente. Le emozioni spiacevoli vanno ascoltate e rispettate, e non possiamo e non dobbiamo fare la guerra contro quelle stesse emozioni che stanno cercando di avvisarci che c’è un problema e di guidarci verso una soluzione.

Certamente una trasformazione non è un processo né esaltante né facile, anche se a volte ci piace immaginarci come degli eroi che combattono una battaglia. Questa visione rende affascinante l’idea del cambiamento e della trasformazione, come fosse una storia epica da poter raccontare in giro, ma la vera guarigione non sempre è un processo lineare, piacevole o emozionante. Non è una lotta cavalleresca ma un processo più morbido e intuitivo, che passa anche attraverso tempi lenti e atti apparentemente piccoli come leggere, riposare, piangere.
La vera
trasformazione di sé (o forse potremmo dire: in sé) presuppone anche l’andare anche contro ciò che la società, la famiglia o il nostro sistema culturale si aspettano da noi; presuppone che abbandoniamo l’idea che ci eravamo fatti di noi stessi e di come debba essere la nostra vita. Il processo di trasformazione ci impone a volte di essere goffi, di restare a casa il sabato sera, di intraprendere viaggi solitari o di fare altre cose che non sempre possiamo spiegare ad altre persone. La guarigione richiede impegno, disponibilità a essere vulnerabili e una radicale fiducia in un “me stesso” che ancora non ci è dato di conoscere bene.

Le emozioni sono messaggeri che spesso ignoriamo, che giudichiamo severamente e di cui cerchiamo di sbarazzarci, ma in realtà le nostre emozioni negative sono dalla nostra parte, non contro di noi. Non sono qualcosa da combattere o aggiustare, allo stesso modo in cui non ci verrebbe mai in mente di combattere o riparare il nostro sistema immunitario mentre cerca di scongiurare un’infezione.
C’è un approccio molto più funzionale e morbido alla nostra sofferenza: innanzitutto, entrare in contatto con le nostre emozioni, anche con quelle più negative e spiacevoli. Ascoltarle, lasciarle parlare, cercando di comprendere intimamente qual è il motivo per cui sono venute a trovarci. Ogni volta che avvertiamo segnali spiacevoli arrivare alla nostra coscienza, non importa quali siano, dovremmo fare in modo da fermarci e porci in una posizione di ascolto. Porsi in ascolto facilita e velocizza il processo di guarigione e di trasformazione. Quando le nostre emozioni ricevono ascolto e attenzione, non perdono tempo a rivelare ciò che realmente vogliono dirci, qual è il messaggio che sono venute a portarci.

Forse quell’emozione di disagio è venuta a dirci che abbiamo semplicemente bisogno di più tempo per riposare, o invece è venuta a svelare un messaggio ben più importante, forse che non stiamo più bene nella relazione con il nostro partner o sul lavoro. Che il messaggio sia grande o piccolo, che sia più o meno importante, se ascoltiamo, la guida che ne riceviamo ci aiuterà a cambiare la nostra vita e lenirà i sintomi che prima tanto ci impressionavano.

In un certo senso, il nostro malessere si mostra per svegliarci, viene a scuoterci per tentare di aiutarci, e per questo possiamo essergliene ragionevolmente grati. I sintomi sono una guida e un campanello di allarme, ci avvisano di ciò che nella nostra vita non è profondamente allineato con ciò che davvero siamo e desideriamo. Una volta che iniziamo a notare come le nostre emozioni ci guidano sottilmente verso le soluzioni, diventa molto più facile fidarsi di loro.

A volte ci accorgiamo che abbiamo sprecato la maggior parte del nostro tempo cercando di arrivare ad avere una vita “perfetta”: cerchiamo magicamente di arrivare in un luogo ideale in cui non abbiamo problemi emotivi o fisici, e ci illudiamo che questo ci renderà felici. Ma quella della vita perfetta è appunto solo un’illusione, che provoca frustrazione e altra inutile sofferenza. Ha senso invece impegnarci a lungo termine con noi stessi, ovvero decidere di prenderci cura di noi e delle nostre vite, a prescindere da cosa potrà accadere. Provare ad avere un minimo di fiducia nella vita e nello scorrere del tempo, con la chiara consapevolezza che alcuni dolori non potremo risparmiarceli, e che a volte non esisteranno soluzioni facili o veloci, e che ci toccherà comunque fare la nostra parte.

Prendendo questo impegno con noi stessi, la guarigione da un certo tipo di sofferenza scaturita dalla non accettazione delle nostre stesse emozioni e dai messaggi che queste recano con sé, può avvenire più velocemente e con più gioia e facilità durante tutto il processo. Proviamo a smettere di resistere alle nostre stesse emozioni e a ciò che viene a trovarci di noi stessi sotto forma di “negativo”. E se le nostre emozioni non fossero qui semplicemente per ferirci? Se volessero indicarci la strada migliore per andare avanti?

 

La Redazione

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