L’analisi bioenergetica, messa a punto da Alexander Lowen a partire dagli anni sessanta, affonda le sue radici nell’analisi del carattere di Wilhelm Reich.
Reich era stato allievo di Freud, ma si era staccato dal maestro negli anni venti, quando questi, per spiegare le resistenze del paziente e quindi l’insuccesso di molti processi terapeutici, aveva ipotizzato l’esistenza di un istinto di morte come responsabile dell’allontanamento del paziente dalla via della guarigione.
Reich, al contrario, non volle arrendersi all’ipotesi dell’istinto di morte e l’osservazione clinica lo condusse in una direzione completamente nuova. Egli scoprì che le resistenza dei pazienti non erano altro che atteggiamenti difensivi: difese non soltanto psichiche, ma anche strutturate nel corpo sotto forma di tensioni muscolari croniche. Ogni persona, insomma, aveva organizzato una struttura difensiva psicosomatica, e per questo non in occasione degli incontri terapeutici, non per contrastare il successo del processo analitico in nome di un presunto istinto di morte, ma a partire dalla nascita, in risposta a precisi eventi traumatici o situazioni carenziali protratte. In queste strutture difensive, che reich chiamò significativamente “armature caratteriali”, esistevano precise corrispondenze tra tensioni somatiche e vissuti emozionali rimossi. Diventava così possibile sia intuire qualcosa della storia e dello stato attuale delle persone attraverso il linguaggio non verbale del loro corpo, sia ipotizzare un intervento terapeutico che non si limitasse alla comunicazione verbale tra paziente e terapeuta, ma agisse anche in modo diretto, fisico, sulle difese somatiche dei pazienti.
Per Reich divenne dunque fondamentale far precedere ogni processo analitico da un’analisi del carattere del paziente, dove per analisi del carattere era intesa una comprensione del significato globale della sua armatura caratteriale, che altrimenti avrebbe opposto la propria rigidità difensiva al successo della terapia. Nel corso di questa, poi, l’obiettivo del terapeuta sarebbe diventato quello di ripristinare nel paziente la cosiddetta “potenza orgastica”, cioè la capacità di abbandonarsi liberamente e completamente, con tutto il corpo e non solo con i genitali, al piacere sessuale. Un totale abbandono ai movimenti spontanei del corpo, infatti, avrebbe comportato, secondo Reich, lo scioglimento dei blocchi psicosomatici (le tensioni muscolari croniche), che erano stati attivati dal paziente per impedire lo scorrimento dell’energia vitale, quella che Freud chiamava libido. Inibendo il fluire dell’energia vitale, infatti, il paziente aveva potuto evitare di sentire le emozioni rimosse, imprigionandole nelle aree contratte e realizzando così ciò che in termini contemporanei potremmo definire un “pattern psico-neuro-muscolare cristallizzato”: una sorta di hardware somatico che – dal punto di vista energetico, sensoriale, emozionale e cognitivo – delimita i programmi di vita di ogni persona nevrotica. Poiché questo modello costituisce l’armatura caratteriale, lo scioglimento dei blocchi avrebbe dunque portato alla progressiva scomparsa dei sintomi nevrotici in essa cristallizzati: le fissazioni.
Quando Reich, nel 1939, si trasferì dall’Europa a New York, ebbe tra i suoi allievi e pazienti Alexander Lowen. Nel corso della sua terapia, che durò tre anni, Lowen riuscì ad ottenere il riflesso orgastico, ma si accorse che questo risultato non era sufficiente per eliminare tutti i problemi della sua vita di relazione. Furono le osservazioni di un altro terapeuta reichiano, Louis Pelletier, a suggerirgli una fondamentale trasgressione alla regola del maestro. Mentre Reich aveva sempre insistito sull’importanza del lasciar andare le tensioni muscolari, e interveniva direttamente sui suoi pazienti in questa direzione, le osservazioni di Pelletier ispirarono a Lowen l’idea che lo scioglimento dei blocchi che impediscono all’energia di fluire avrebbe potuto essere indotto in modo più efficace alternando momenti di rilassamento con momenti di lavoro espressivo, in cui le tensioni muscolari preesistenti e involontarie venissero in qualche modo sottolineate ed esasperate da movimenti volontari, e quindi agite sotto il dominio dell’Io.
Questo metodo, con il quale Lowen riuscì a ottenere risultati migliori che non con il semplice rilassamento, costituisce, insieme all’analisi del carattere e al fondamentale principio reichiano di identità funzionale tra tensione muscolare e blocco emozionale, uno dei cardini dell’analisi bioenergetica. Nel corso delle sedute di analisi bioenergetica, infatti, paziente e terapeuta non si limitano a parlare: la prima parte di comunicazione verbale è infatti integrata da una seconda parte in cui il terapeuta propone al paziente una serie di movimenti, esercizi e forme di contatto corporeo adatti alla sua armatura caratteriale e ai vissuti emozionali emersi o rimossi nel corso della seduta.
Gli altri elementi fondamentali dell’analisi bioenergetica, strettamente correlati ai primi e tra loro, sono il concetto di grounding e la respirazione. Avere grounding, nell’accezione loweniana, significa essere in contatto con il proprio corpo e con le proprie emozioni, quindi con la verità della propria esistenza. Perché ciò avvenga, è necessario sciogliere i muscoli contratti: dove c’è contrazione, infatti, non c’è sensazione, e dove c’è sensazione non c’è emozione. E se non si sentono le proprie emozioni, non si sa chi si è.
Sciogliere i muscoli contratti significa lasciare che la propria energia riprenda a fluire in quell’area. L’alternarsi di movimenti espressivi e fasi di rilassamento, che caratterizza il metodo di Lowen, serve dunque a rimettere le persone in contatto con se stesse, ed è perciò uno dei principali strumenti del grounding.
Tutto questo processo sarebbe però impossibile senza una corretta respirazione: è attraverso la respirazione, infatti, che l’organismo riceve l’ossigeno indispensabile per alimentare i propri processi metabolici, che a loro volta gli forniscono l’energia di cui ha bisogno. Di conseguenza, come una respirazione insufficiente asseconda il mantenimento del blocco emotivo e muscolare, così una respirazione buona e profonda è indispensabile per arrivare al centro di sé.
– da “Il corpo non mente” di Luciano Marchino –