Quando è sincera, quando nasce dal bisogno di dire, la voce umana non c’è chi possa fermarla. Se le tolgono la bocca, lei parla con le mani, con gli occhi, con i pori o con quello che sia. Perché tutti, ma proprio tutti abbiamo qualcosa da dire agli altri, qualcosa che merita di essere celebrata dagli altri o perdonata.
E. Galeano
Le concezioni del mondo e della vita che chiamiamo “filosofiche” sono il prodotto di due fattori: uno inerente alle condizioni religiose ed etiche; l’altro a quel genere di ricerche che si può chiamare “scientifico” usando questa parola nel senso più ampio. In ogni campo fra le due diverse posizioni esiste una terra di nessuno esposta agli attacchi di entrambe le parti; esiste uno spazio che potremmo chiamare “terra di nessuno” che si situa comunque tra l’empirico e lo scientifico tra l’incertezza e la certezza. Eppure quasi tutte le questioni di maggior interesse per le menti speculative sono tali che la scienza non può rispondervi e le fiduciose risposte delle varie discipline non sembrano più tanto convincenti come nei secoli precedenti. Il mondo è diviso in spirito e materia e se, lo è, che cos’è lo spirito e che cos’è la materia? Lo spirito è soggetto alla materia o è investito di poteri indipendenti? L’universo ha un’unità di scopi? Sta evolvendo verso qualche meta? Vi sono realmente leggi di natura, o noi crediamo in esse soltanto per il nostro innato amore dell’ordine? L’uomo è ciò che appare all’astronomo o ciò che appare ad Amleto? Forse entrambe le cose insieme. Esiste un modo di vivere nobile ed un altro abbietto, o tutti i modi di vivere sono semplicemente discutibili dai vari punti di vista? Se esiste un modo di vivere nobile, in che cosa consiste e come possiamo raggiungerlo? Il bene deve essere eterno per meritare che gli si dia valore o vale la pena di cercarlo anche se l’universo cammina inesorabilmente verso la disgregazione?(1)
A tali domande non si può trovare nessuna risposta in laboratorio. Da quando gli uomini divennero capaci di libero pensiero, le loro azioni sotto innumerevoli aspetti, sono dipese dalle loro teorie sul mondo e sulla vita umana, su ciò che è bene e ciò che è male. Questo è vero tanto al tempo d’oggi quanto ai tempi antichi. La scienza ci dice ciò che possiamo sapere, ma ciò che possiamo sapere è sempre poco e se dimentichiamo questo “Non possiamo sapere” diventiamo insensibili a molte cose di grandissima importanza. Insegnare a vivere senza la certezza e tuttavia senza essere paralizzati dall’esitazione è forse la funzione principale cui la psicologia può ancora assolvere, nel nostro tempo, per chi la studia. Il disagio di un individuo va sempre letto all’interno del proprio mondo relazionale più ristretto e se vogliamo considerare la complessità dei sistemi di riferimento dobbiamo tener conto anche di quel contesto più ampio che riguarda il contesto sociale nel quale lo stesso individuo è inserito (2) Per capire un’ epoca o una nazione dobbiamo noi stessi essere un po’ filosofi. C’è sempre una reciproca causalità: le condizioni di vita degli uomini influiscono molto sul loro modo di vedere la vita, ma d’altra parte lo stesso modo di vedere la vita influisce molto sulle loro condizioni. La coesione sociale è una necessità e l’umanità non è riuscita a realizzare la coesione con argomenti puramente razionali.
Ogni comunità è esposta a dei pericoli. Il problema morale o etico ( èthos= costume) riguarda l’attività pratica dell’uomo ed indica il fine da raggiungere, suggerendo le norme che dovrebbero regolare le singole azioni e la vita. Il fine da raggiungere è il “bene” anche se questa parola assume diversi significati ed i filosofi sanno quanto questo concetto varia a seconda dei diversi indirizzi. Bisognerebbe allora intendersi su qualcosa che si può considerare comune. …Ma venendo a mancare una cosmologia unitaria ed un universo comune dei valori, possibile invece nell’età classica e medievale, si è resa necessaria la ricerca del fondamento etico dei comportamenti e dell’ordinamento, così l’etica sociale, (questione specifica della modernità), che appartiene all’ambito delle scienze morali, si occupa del comportamento etico nelle relazioni sociali da un lato e del fondamento etico dell’ordinamento sociale e giuridico dall’altro(3) studiando il rapporto interpersonale mediato dalle strutture (e/o istituzioni) attraverso le quali la Società si è costituita. Nell’ambito dell’ordinamento giuridico la “deontologia”, termine coniato dal filosofo J.Bentham come titolo di una sua opera in cui svolse la teoria dei doveri, oggi, indica lo studio e l’elencazione di un particolare gruppo di doveri inerenti una determinata professione. L’etica” deontologica”, designa, quindi, un particolare tipo di etica basata sulla nozione di dovere assoluto, che si contrappone ad altre etiche basate su concetti, ad esempio, di felicità o di virtù.
Ciascuno nell’ambito della propria attività professionale ha la necessità di riferirsi e rispettare un insieme di principi sanciti dal proprio codice deontologico. La coerenza fra etica e deontologia professionale dovrebbe dunque condurre verso il conseguimento dell’etica dell’essere: essere etici e deontologicamente corretti come traguardo comportamentale. Di qui il necessario rimando ad un discorso di responsabilità personale ed individuale. In un tempo d’incertezze quale quello attuale è sempre chiaro a ciascuno di noi il proprio livello di responsabilità personale rispetto alle macrovicende che attanagliano il nostro paese? Forse si o forse no ma ….sicuramente i fatti lasciano intravedere un labile “senso” di etica professionale rapportato a quello di etica sociale così come risulta sempre più difficile ritrovare nella realtà quotidiana persone e professionisti volenterosi di interrogarsi sul proprio operato e sulla propria modalità di presentarsi nella comunità allargata che non dovrebbe essere molto distante da ciò che si mette in campo quando ci si trova di fronte a chi, diversamente, è in una posizione di richiesta d’aiuto. Il “dominio sull’altro”, affermatosi come regola comune di comportamento ha reso quasi giustificabile il perpetuarsi di procedure volte a danneggiare il diritto di eguaglianza, di giustizia e dignità umana.
La stessa tendenza che porta alla prevalenza di etiche utilitaristiche incide profondamente sulla formazione dell’ethos giovanile e del mondo valoriale di generazioni progressivamente private di punti di riferimento forti (4)….forse è tempo di verità, di meritocrazia e di una giustizia, che possa includere anche una crescita personale individuale circa le reali responsabilità che investono ciascuno di noi in relazione agli eventi più grandi che riguardano il nostro tempo. …E per chi si occupa di promuovere e favorire un processo di benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità (art.1*) tali temi risultano centrali, per continuare a credere nella possibilità di promuovere una crescita sana ed armoniosa dei futuri adulti del domani oltre che il rispetto e la salvaguardia della dignità umana. In un impegno di questo tipo è difficile immaginare che si possa operare lasciandosi debolmente attrarre da quei giochi di opportunismo sociale che privano altri individui della possibilità di vedere garantiti dei propri diritti, così come diventa difficile immaginare di poter rispondere al proprio mandato etico professionale quando si accetta e si soccombe ad una tale realtà.
Certo ogni azione trova la sua motivazione e dietro ogni comportamento c’è un costrutto di pensiero che lo motiva e lo giustifica…d’altra parte è questo il nostro mestiere …ma un impegno concreto potrebbe essere quello di manifestare nella realtà della vita quotidiana quello che sul piano etico è richiesto in uno studio professionale. Fare buona filosofia, così come fare buona psicologia, vuol dire allora trovare belle canzoni, imparare a cantarle, e saperle cantare con chi ha bisogno prima di ascoltarle e, quindi, di imparare anche lui a cantare, in attesa che “nos in aeternum exilium impositura cumbae” (Orazio, Carmina II, 3, 27-28), restituendo alla parola (nostro unico strumento d’intervnto) e “all’azione” il grande valore ormai perso. Anche il rapporto tra etica e psicoterapia può essere affrontato da vari punti di vista. Ogni psicoterapia non è value-free, al contrario veicola il suo proprio sistema di valori, impliciti ed espliciti, e di conseguenza, una “sua propria” etica. L’etica di una psicoterapia coincide con la sua metapsicologia di riferimento.
Si potrà pertanto parlare di un’etica comune a tutte le psicologie dinamiche, e di un’etica specifica che nasce dagli assunti metapsicologici di ognuna di esse. L’etica comune trae origine da ciò che le diverse psicologie dinamiche hanno in comune, e cioè la convinzione che esistano processi mentali inconsci sottostanti alla coscienza e che la comprensione di questi sia un importante elemento nella cura delle malattie mentali e del disagio psichico. Dunque, ciò che fonda l’ “etica psicoanalitica comune”, è la credenza che esista una qualche verità “oggettiva”, in qualche modo approssimabile (non necessariamente raggiungibile in maniera piena) dal soggetto, e che cogliere (in tutto o in parte) questa verità abbia una funzione curativa. Verità e bene tendono dunque a coincidere, o, comunque, a sovrapporsi largamente, e la cura è anche una “cura morale”, un insegnare ad amare e ricercare la verità su stessi piuttosto che l’autoinganno difensivo (5) Le varie commissioni deontologiche degli Ordini lavorano a pieno ritmo e il ricorso all’argomento deontologico è assai frequente nei discorsi.
Ci si può chiedere allora se all’elevato valore simbolico della norma corrisponda un altrettanto elevato valore d’uso. E se all’elevata notorietà della norma corrisponda un’adeguata competenza nell’utilizzo della norma stessa, in sé e nel rapporto con altre norme. Rimane fermo il punto che la responsabilità professionale è a tutti gli effetti una responsabilità giuridica ineludibile. Il principio di responsabilità professionale pone l’obbligo, infatti, di valutare caso per caso la finalità dell’azione, le alternative praticabili, le conseguenze. …. L’educazione alla legalità può inserirsi, allora, in quel vuoto e in quella “terra di nessuno” per colmare almeno gli effetti più evidenti della carenza di formazione ai valori dell’ethos comune, promuovendo nuovamente la giusta sensibilità per il rispetto dei diritti fondamentali dell’uomo e dei principi di etica pubblica, come fondamento della civiltà di un popolo e di una vera politica di Welfare.
Codice deontologico degli Psicologi Italiani Testo approvato dal Consiglio Nazionale dell’Ordine ai sensi dell’art. 28, comma 6 lettera c) della Legge n. 56/89, in data 15-16 dicembre 2006. Articolo 3 Lo psicologo considera suo dovere accrescere le conoscenze sul comportamento umano ed utilizzarle per promuovere il benessere psicologico dell’individuo, del gruppo e della comunità. In ogni ambito professionale opera per migliorare la capacità delle persone di comprendere se stessi e gli altri e di comportarsi in maniera consapevole, congrua ed efficace. Lo psicologo è consapevole della responsabilità sociale derivante dal fatto che, nell’esercizio professionale, può intervenire significativamente nella vita degli altri; pertanto deve prestare particolare attenzione ai fattori personali, sociali, organizzativi, finanziari e politici, al fine di evitare l’uso non appropriato della sua influenza, e non utilizza indebitamente la fiducia e le eventuali situazioni di dipendenza dei committenti e degli utenti destinatari della sua prestazione professionale.
Lo psicologo è responsabile dei propri atti professionali e delle loro prevedibili dirette conseguenze.
Articolo 4 Nell’esercizio della professione, lo psicologo rispetta la dignità, il diritto alla riservatezza, all’autodeterminazione ed all’autonomia di coloro che si avvalgono delle sue prestazioni; ne rispetta opinioni e credenze, astenendosi dall’imporre il suo sistema di valori; non opera discriminazioni in base a religione, etnia, nazionalità, estrazione sociale, stato socio-economico, sesso di appartenenza, orientamento sessuale, disabilità. Lo psicologo utilizza metodi e tecniche salvaguardando tali principi, e rifiuta la sua collaborazione ad iniziative lesive degli stessi. Quando sorgono conflitti di interesse tra l’utente e l’istituzione presso cui lo psicologo opera, quest’ultimo deve esplicitare alle parti, con chiarezza, i termini delle proprie responsabilità ed i vincoli cui è professionalmente tenuto. In tutti i casi in cui il destinatario ed il committente dell’intervento di sostegno o di psicoterapia non coincidano, lo psicologo tutela prioritariamente il destinatario dell’intervento stesso.
Articolo 5 Lo psicologo è tenuto a mantenere un livello adeguato di preparazione professionale e ad aggiornarsi nella propria disciplina specificatamente nel settore in cui opera. Riconosce i limiti della propria competenza ed usa, pertanto, solo strumenti teorico-pratici per i quali ha acquisito adeguata competenza e, ove necessario, formale autorizzazione. Lo psicologo impiega metodologie delle quali è in grado di indicare le fonti ed i riferimenti scientifici, e non suscita, nelle attese del cliente e/o utente, aspettative infondate.
Dott.ssa Anna Tecce
Bibliografia
(1) Bertrand Russell,“Storia della filosofia Occidentale”, Teadue, 2001 (2) Sullivan H.S., “Teoria interpersonale in psichiatria”, Milano, Feltrinelli,1972; (3) S. Banks, “Etica e valori nel servizio sociale”, Trento, Erickson, 1999 (ediz. in lingua originale 1995), pp. 22-23; (4) N. Acocella, Teorie della giustizia: condizionamenti sociali e responsabilità individuale, Paper in corso di pubblicazione. Università degli studi “La Sapienza” di Roma; * Codice Deontologico degli Psicologi Italiani (Legge n.56/89); (5) E.Mordini, “Bioetica e psicoanalisi”, 1997 In Gindro S(ed): La ricerca in bioetica CIC Edizioni, Roma; G. Acocella, Elementi di bioetica sociale, Napoli, E.S.I., 1998 Edgar Morin, “I sette saperi necessari all’educazione del futuro”, Raffaello Cortina Edit, 2001