Una milonga… Una musica che arriva da lontano… E quattro gambe che si inseguono muovendosi nella sala.
Voglio raccontarvi di questo, di questa esperienza che mi vede impegnato da un certo tempo, un’esperienza umana ma anche terapeutica, luogo di incontro di anime e anche luogo di incontro con l’Anima e l’Animus, gli archetipi femminili e maschili che ci abitano. Il tango è una metafora delle relazioni che intratteniamo con noi stessi e con gli altri e, nel contempo, è anche la sostanza delle relazioni perché è nella danza che queste si incarnano prendendo forma nel contatto, nella vicinanza dei corpi, nell’unirsi dei respiri, nel calore che la mano del nostro compagno lascia sulla nostra schiena. Ma il tango è anche un bellissimo strumento di terapia che non usa la stanza di analisi ma una sala da ballo come setting e non usa la sola accoglienza del terapeuta ma l’accoglienza di tutti coloro che con uno sguardo accettano di danzare con noi e che ci accolgono nel loro abbraccio e, quindi, nel loro mondo.
Perché intraprendere un percorso di consapevolezza di sé mediante il tango?
Perché questa danza, nata nei vicoli dell’Orilla, racconta la Vita e racconta noi stessi e ci permette di osservare e di osservarci con una chiarezza che raramente accade ed anche con una possibilità di accettazione che può segnare il passo verso degli altri e nuovi noi stessi.
Per me che lavoro con il corpo, è impossibile non raccontarvi come la postura, lo sguardo, le mani asciutte od umide di sudore, come la vicinanza o la lontananza nell’abbraccio, possano raccontare di noi e possano farci incontrare vissuti e parti che mai avremmo immaginato di incontrare ballando, facendoci ripercorrere pezzi della nostra storia e della nostra vita. In qualche modo, nel tango tutto può essere terapeutico in quanto ogni gesto è metafora di istanze e vissuti molto più profondi. Uno sguardo che accetta il nostro invito, un abbraccio che ci avvolge e in cui ci sentiamo bene, uno spazio di rilassatezza che si crea a due, il senso dello smarrimento vorticando nella danza, la vicinanza profonda con un altro essere umano, possono darci un senso di accoglienza e accettazione profondi e condurci ad una comprensione di ciò che siamo e di dove stiamo.
E sì, ci racconta di “dove stiamo”, del “chi sono io oggi” e del come reagisco ad un rifiuto, ad un accoglimento, all’invadenza del mio spazio o del mio corpo, o alla distanza e freddezza di chi sento assente, non coinvolto, e del perché sento questo, fino a dove ciò appartiene a me e dove inizia, invece, il vissuto dell’altro. Da quale angolo della mia storia personale proviene quel senso di rifiuto, quel senso di invasione, di distanza o di freddezza? Il tango ci pone di fronte a ciò che siamo e ci costringe a guardare e ad accettare se vogliamo continuare a danzare; ci costringere, dunque, ad accogliere.
Chi inizia una terapia lo fa per una ferita che non vuole più essere negata e che chiede ascolto in molti modi che noi definiamo patologici. Il tango è in sé terapeutico in quanto ci conduce al bandolo della matassa dato che ogni ferita è sempre una ferita d’amore e l’amore, a partire dalla madre ed il neonato, nasce all’interno di una diade, di una relazione, ed è proprio nella relazione che il tango affonda le sue radici. In questa relazione che la danza ci impone, siamo costretti a confrontarci con i grandi temi della nostra vita e della nostra interiorità, il muoversi e lo stare fermi, il rifiuto e l’accettazione, l’amore e il non-amore, il calore e la freddezza, l’equilibrio e il non equilibrio, il controllo e l’abbandono, il restare e l’andarsene, lo stare retti e il piegarsi, la capacità di essere assertivi e passivi, il rispetto di sé e degli altri e il non-rispetto.
Per qualcuno ciò può essere doloroso, potremmo incontrare ciò che già conosciamo, un abbraccio troppo stretto, asfissiante, oppure un abbraccio molle che evita un contatto autentico, facendoci ripercorrere emozioni a noi magari già ben note. Ma un abbraccio caldo e accogliente, un tocco rispettoso e amorevole, uno sguardo non invadente, un respiro leggero che si unisce al nostro senza prevaricarlo, possono essere un’esperienza di grande guarigione e, dunque, un grande dono che possiamo farci. Superare la paura e concederci all’intimità di un altro corpo, accettando anche la transitorietà dell’incontro, l’impermanenza dell’esperienza, può aprire nuovi varchi in noi e trasformare condizioni e stati interiori che noi consideravamo immutabili.
L’Io si crea con l’esperienza, con i rinforzi e le punizioni che riceve dall’esterno, con i consensi e i rifiuti, ed è con l’esperienza che il tango può modificarlo. Una donna maltrattata può essere guarita dal tocco gentile e rispettoso di un uomo, una ragazza anoressica può essere guarita da uno sguardo che la accoglie e che le racconta quanto è bella la sua “presenza”, un uomo incapace di affermare se stesso può essere guarito dall’esperienza di condurre nel ballo una donna, uomini e donne che non riescono ad abbandonarsi ad un’affettività e sessualità pieni, possono imparare a lasciarsi andare nella musica, sorretti da un compagno che sta facendo un analogo cammino.
Il tango è così perfetto perché si basa sull’alternanza, sull’avvicendarsi e sull’equilibrio dell’Anima e dell’Animus, che sono gli archetipi che ci riconducono alla madre e al padre che ci portiamo dentro e che, in questa esperienza, possiamo ringraziare con gratitudine per quanto ci hanno dato e, nel contempo, sanare in quelle parti mancanti e deboli. I bambini hanno bisogno delle gambe paterne per camminare e delle braccia materne per ricevere e raccogliere; nel tango ritorniamo un po’ bambini e ci riappropriamo totalmente delle gambe e delle braccia per diventare uomini e donne completi che sanno incontrare, amare, dare, ricevere, salutare e, infine, andare. Esattamente come dovrebbe essere nella vita.
Perchè danzare il tango? Io direi che anche meglio sarebbe “fare” tango, inteso come atto di ri-creazione di sé e di completamento, per mezzo dell’esperienza della danza, di qualcosa fino ad allora rimasto incompiuto.
E poi Milonga in spagnolo significa “festa” e milonguear significa “passare la notte alternando canto e ballo”, e come non cogliere l’analogia con la Vita che è una bellissima festa alla fine della quale ci aspetta un’alba ancora più bella? E, nel mentre, attendiamo cantando e ballando nelle nostre esistenze, su una musica che ci parla d’amore, su un’altra che parla di lavoro, un’altra di figli, arrabattando un senso in tutto questo per dire, alla fine, “Che bella notte abbiamo trascorso…” .
Gianfranco Inserra