Il concetto di nevrosi, nell’arco dei decenni, dalla nascita della psicoanalisi in poi è molto cambiato. Il suo legame con fattori storico – culturali ha portato al suo evolversi e alla quasi totale scomparsa di alcune forme di nevrosi come l’isteria, diagnosticata e studiata all’epoca di Freud in donne della società borghese e benestante ma, ad ogni modo, sempre legata o a traumi affettivi ed emotivi che avevano la propria radice nel passato o a forti conflitti presenti nella vita attuale del paziente, e proprio da questa diversa eziologia dei disturbi nacque la distinzione freudiana tra nevrosi da difesa e nevrosi attuali.
Sebbene ancora oggi le stanze degli psicoanalisti e degli psicoterapeuti siano popolate di pazienti, forse più che in passato, essendo diventate più accessibili, sia in termini economici che in termini di sociali, anche dai ceti medio-bassi, le motivazioni che sottendono alla richiesta di aiuto sono assai diverse rispetto ai decenni scorsi. Forse, senza troppi giri di parole, possiamo rilevare che le ragioni per le quali si intraprende oggi un cammino psicoterapeutico hanno sempre meno a che fare con la malattia e quindi la terapia, e sempre più con la salute e quindi con la vita. Molti di quelli che oggi chiedono aiuto, esprimendo una condizioni di disagio e di sofferenza, anche dopo anni di psicoterapia e un lavoro sul profondo, non rivelano né l’esistenza di grossi traumi nella loro storia personale né la presenza di conflitti così intensi e profondi da giustificare il dolore che vivono ed hanno vissuto. Dentro di loro non si rintraccia il segno della patologia bensì il segno dei nostri tempi, dei nostri giorni e del modo di vivere che li caratterizza. Senza cadere in facili demagogie e qualunquismi ci saremo accorti tutti del dilagare intorno a noi di una cultura del benessere che non ha per oggetto lo stare bene ma il consumo, l’avere successo, il riconoscimento sociale, l’avere che sovrasta l’essere.
Spesso si parla della società moderna come portatrice e al contempo oggetto di una crisi di valori, di un vuoto che, in special modo, vede protagonisti i più giovani. In realtà, in base alla mia esperienza, posso dire che più che un vuoto c’è una pienezza diversa fatta dell’effimero, del successo, del divertimento, della cultura dell’apparire, che finisce con l’impossessarsi di tutti gli ambiti della vita. Molte delle donne che vengono nel mio studio non sono anoressiche o bulimiche, soffrono e si sentono inadeguate perché non sono sufficientemente magre, sufficientemente belle, sufficientemente seduttive, in base ai canoni della cultura comune che ha reso l’aspetto fisico uno dei simboli del successo sociale. Molti tossicomani non sono eroinomani come in passato, ma cocainomani, alla ricerca di un livello di attività e di efficienza sempre più alto o alla ricerca di uno svago diverso dal consueto, stanchi magari del solito uso massiccio di alcool fine a se stesso, che esprime sempre meno la goliardia ed il piacere lascivo dello stare insieme in amicizia e sempre più la necessità di perdersi per qualche ora, di svagarsi dalla noia del fine settimana, una noia che oggi non riguarda più i sessantenni soli nelle loro case davanti la televisione ma le orde di ragazzi che nel week-end si riversano nei centri storici delle nostre città.
Che nome dare, allora, alla sofferenza che queste persone vengono a raccontarci? Perché, è vero, si tratta di sofferenza reale che però, se scandagliata alle radici, non rivela l’esistenza di alcuna radice se non l’appartenenza a questo Tempo, e ingrato è il compito dello psicoterapeuta che da un lato deve accarezzare e accogliere questo dolore e dall’altro smascherarlo, prendersi gioco di lui, deriderlo con simpatia e privarlo dell’importanza che lo rende reale. A questo dolore appartengono quelle che definisco qui ironicamente “nevrosi da lusso”, nate dal benessere e dalla ricchezza ed impensabili in alcuni Paesi del mondo; forse bisognerebbe pensare a degli studi di psicoterapia per ricchi con la piramide di Maslow all’ingresso, magari a tinte forti, a ricordare che alla base dei bisogni essenziali dell’uomo ci sono i bisogni fisiologici come la fame, la sete, e solo in cima ritroviamo i bisogni di stima, di successo e di autorealizzazione. Con questo non voglio prendermi gioco di nessuno, solo lanciare una provocazione a chi si sente spesso afferrato da un dolore indicibile mentre avrebbe tutti i motivi per gioire dell’esistenza e della non appartenenza a quella schiera di pazienti in una condizione veramente patologica che faticherà molto di più per trovare quella gioia e quel sorriso, infinitamente più accessibili ai nostri nevrotici da lusso.
Forse un po’ di ironia aiuterebbe tutti a prendersi meno sul serio e a sentire ciò che qualcuno vuole spacciarci come importante come sempre meno parte di un concetto autentico di Vita e di Essenza e sempre più di immagini di esse, ben lontane dall’originale. Per concludere, vorrei ricordare che “il male di vivere” è sempre esistito ed ha attraversato i secoli, conservandosi intatto nell’animo umano, ma mai come in questo tempo sembra essersi tramutato ne “ il male del non vivere”, perché tutto questo involucro dorato e scintillante che molti oggi scambiano per Vita è solo una sua brutta copia, anche troppo sopravvalutata e costosa, ma certamente non ancora abbastanza affinché non la si renda più la base per misurare la nostra salute psichica. E chissà che d’improvviso, rinunciando a questo falso scintillio, non si estinguano anche le nostre care nevrosi da lusso.
Gianfranco Inserra