Wilhelm Reich riteneva necessario, anzi essenziale, mettere il paziente in contatto con le proprie rigidità; esse non sono a livello di coscienza, quindi scopo di Reich era renderlo consapevole di esse e aiutarlo a scioglierle. La consapevolezza era definita con “essere in contatto” e il contatto con una parte non percepita si può acquisire aumentando la motilità. L’organismo si difende attraverso il blocco energetico di fronte a impulsi istintivi o correlati a stimoli esterni che sente pericolosi. Il sistema della percezione conscia sta alla superficie della corteccia corticale. L’Es, identificato con il principio del piacere è collegato ai processi che avvengono in profondità, sia a livello somatico che psichico. L’impulso parte dall’Es e attiva il sistema muscolare, prima di raggiungere la superficie.
I muscoli possono anche trattenere il movimento e un impulso è frenato se inadatto alla situazione. Se l’azione è conscia, parte dall’Io, che è guidato dal principio di realtà. Ma esistono anche le inibizioni inconsce, che derivano dal Super-Io (ossia dettate dalla morale introiettata già da piccoli e nel tempo) e hanno a che fare con la realtà della situazione presente. Le inibizioni inconsce rappresentano una limitazione della motilità su cui l’Io non ha alcun controllo. Il Super-Io esercita dunque il controllo sulle azioni anche attraverso la muscolatura, la quale, quando è inibita, diventa tesa, cronicamente contratta e rimossa dalla percezione. L’individuo non è consapevole dei muscoli contratti perché il freno dell’impulso è inconscio.
Sappiamo da Freud che la rimozione è una strategia di difesa. L’individuo non è consapevole che certe parti del suo sistema muscolare sotto certi aspetti non funzionano. Come a livello psichico il Super-Io impedisce che certi pensieri arrivino alla consapevolezza, così a livello biologico i muscoli cronicamente tesi impediscono a certi impulsi di raggiungere la superficie. Si può quindi comprendere l’inibizione del Super-Io dai muscoli contratti che determinano l’espressione fisica del corpo, che è collegata con la struttura caratteriale.
Reich, ma anche Ferenczi, distingueva il carattere dal sintomo nevrotico. Quest’ultimo viene percepito come “un corpo estraneo” all’Io e crea una situazione di malessere. Il carattere è invece il modo in cui la persona percepisce il suo Io, anzi è accettato come fosse l’Io stesso: “sono fatto così”. I problemi caratteriali si differenziano dai sintomi nevrotici, in quanto non c’è una “introspezione della malattia”, ma anche il carattere quando non si è sviluppato nel processo evolutivo in maniera congrua è da considerare, di per sé, nevrosi.